In tutti i settori dell’economia e della finanza dominano sempre più le società globali. Gruppi di aziende che producono e vendono in diversi continenti e nazioni. I “global player”, grazie alla possibilità di spostare produzioni e centri di competenza, riescono facilmente a eludere il fisco. Nel 2007 la Google Inc., società informatica leader nel mondo nei motori di ricerca su internet, ha pagato solo il 2.4% di tasse sugli utili miliardari1. Un gran numero di società globali riescono, spostando i profitti, a pagare tasse sugli utili fra il 2% e il 5%, anche quando vendono principalmente in nazioni dove l’imposizione fiscale supera il 30%.
Risparmi fiscali di miliardi di franchi, che permettono a queste aziende di essere più competitive e di attirare più investitori. Si tratta di una concorrenza sleale verso le società che operano solo a livello locale (piccole aziende) e nazionale (p.es. Swisscom, Posta, Migros, Coop). La situazione è poi peggiorata dal fatto che gli Stati, per compensare le mancate entrate fiscali dovute al proliferare dei grandi gruppi, aumentano le tasse e caricano i contribuenti nazionali di nuovi adempimenti.
L’aumento delle aziende globali porta però anche altri inconvenienti:
- Quando le grandi imprese sono in difficoltà, gli Stati, per evitare effetti sistemici, sono costretti a salvarli (to big to fail, nel settore bancario e automobilistico). Lo fanno attingendo alle risorse fiscali nazionali e aumentando ulteriormente la pressione fiscale, creando problemi sociali e ulteriori disparità verso gli attori economici nazionali.
- Le grandi aziende, con fabbriche in paesi lontani, puntano preferibilmente su oggetti del tipo “usa e getta”, che non devono essere riparati. Si generano spese di trasporto inutili e grandi sprechi di risorse. Le grandi imprese, con questi prodotti a basso costo d’acquisto, fanno concorrenza alle ditte che offrono servizi di riparazione e assistenza, e offrono prodotti, che sull’arco complessivo di vita (perché si possono riparare) costano meno.
- I grandi gruppi globali tendono a spostare le produzioni sulla base di vantaggi operativi o fiscali. Delocalizzazioni che portano vantaggi limitati alle nazioni ospitanti e che causano squilibri e problemi sociali quando partono.
- Le grandi imprese, con grandi mezzi finanziari a disposizione, sono quelli che riescono meglio a influenzare le decisioni prese a livello internazionale. Non esitano inoltre a condizionare i governi e la politica dei diversi paesi.
- Le grandi imprese, specialmente quelle del settore informatico, tendono a sviluppare le proprie attività su diversi fronti, ad accumulare e incrociare sempre più dati, mettendo quindi a rischio la privacy delle persone.
Appare opportuno creare un registro delle società nazionali che appartengono a dei gruppi globali.
- Che hanno una cifra d’affari superiore ai 10 miliardi di euro.
- Che operano, tramite affiliate o società partecipate o controllate (contratti di licenza) in almeno due continenti o in almeno 20 nazioni.
I gruppi dovrebbero regolarmente mettere a disposizione delle autorità fiscali una documentazione comprendente:
- Il rendiconto consolidato del gruppo.
- L’imposizione fiscale complessiva sugli utili del gruppo.
- L’indicazione dei proprietari o azionisti di riferimento (se conosciuti).
- I trasferimenti ai proprietari o agli azionisti (dividendi, licenze o altro).
I dati del registro, incrociati poi a livello internazionale, permetterebbero di avere una visione più precisa del fenomeno.
L’iscrizione al registro dovrebbe comportare:
- Il divieto di pagare lobby o sovvenzionare attività politiche. In questo modo si eviterebbe che, Stati e interessi esteri, possano influenzare il processo politico nazionale.
- Imposizione di regole stringenti per quanto attiene al rispetto di valori etici, come: divieto di corruzione, divieto del lavoro minorile, rispetto di valori ambientali.
Come passo successivo si potrebbe introdurre per i grandi gruppi globali:
- L’obbligo di contribuire, con una percentuale sulla cifra d’affari, a strutture che riparano i prodotti.
- L’obbligo di fare tassare, nelle nazioni in cui operano, almeno il 70% degli utili consolidati. La divisione fra le singole nazioni dovrebbe essere effettuata in base ai fattori di produzione (estrazione di materie prime), al numero di persone impiegate e alla cifra d’affari ottenuta.
- L’obbligo di una tassazione minima sugli utili consolidati del 15%. Questo per evitare che diventi redditizio fiscalmente acquistare attività e società e liquidarle.
Queste regole dovrebbero essere possibilmente unificate a livello internazionale. Eventuali convenzioni internazionali dovrebbero comunque fissare solo i punti principali. Le norme di assoggettamento dovrebbero prevedere un percorso facilitato per la modifica. Questo per chiudere scappatoie che le ditte, servite da potenti studi legali, trovano regolarmente.