Il progetto di Piano delle Aggregazioni fase 2 (PAC), messo in consultazione dal Consiglio di Stato a giugno 2017, è un progetto molto ben studiato, ben strutturato e ben presentato. Il PAC propone un Ticino con 27 Comuni. Tenuto conto dell’importante lavoro di analisi e concertazione, allo stato attuale, questa visione appare la più concreta e realistica verso cui progettare delle aggregazioni. Il progetto non manca neanche di mettere in evidenza i punti critici, legati alla difficoltà di trovare il consenso, ai tempi di realizzazione e al crearsi di aggregazioni a “macchie di leopardo”, molto disfunzionali.
Rileva inoltre che il Gran Consiglio, nel mese di febbraio 2017, ha rifiutato un’iniziativa costituzionale per un Ticino con 15 Comuni, per via della carente partecipazione delle persone direttamente interessate. Contro questa decisione è pendente un ricorso al Tribunale federale.
Il PAC per realizzare la sua visione incanala e limita la possibilità di arrivare alle aggregazioni non in linea. Con questi presupposti non vi è molto spazio per alternative e la consultazione dei cittadini, alla fine della procedura, si riduce a una mera formalità, anche perché in caso di rifiuto del progetto di aggregazione, il comune può avere conseguenze finanziarie negative. Anche il PAC risulta fortemente carente in merito al rispetto del principio della consultazione dei cittadini.
Si necessita di una sintesi che permetta alle persone di partecipare, esprimendosi sia sul disegno globale e sia sulle preferenze a livello locale. Si propone pertanto una votazione cantonale consultiva, nell’ambito della quale i cittadini possano rispondere a domande sugli indirizzi generali e, per ciascuna regione, a delle domande specifiche in merito ai possibili scenari locali.
Il PAC segnala che le aggregazioni sono il primo passo per una ridistribuzione dei compiti fra il Cantone e Comuni, senza però dare alcuna indicazione concreta. Questa mancanza di prospettiva è un punto debole del PAC. Si dovrebbe allestire una strategia sul l’organizzazione dell’amministrazione pubblica nel futuro. Si è pensato di dare degli spunti pratici al riguardo, come quello di creare la figura di consulente di riferimento per i rapporti con i cittadini.
Il CdS ha messo in consultazione il 17 giugno 2017 il progetto di piano delle aggregazioni (PCA) per la seconda fase. Il progetto delinea un futuro del Ticino, costituito da 27 Comuni, chiamati scenari di aggregazione. Il PCA è uno strumento previsto dalla legge cantonale sulle aggregazioni. Questi scenari di aggregazione svolgerebbero due funzioni: la prima quella di costituire la linea guida per il futuro consolidamento dei Comuni, la seconda quella di dare uno strumento al Cantone per favorire le aggregazioni.
Il progetto di PCA è un documento molto ben redatto, proiettato verso il futuro, chiaro nelle esposizioni, con molte informazioni e diversi spunti di riflessioni. È frutto di un lavoro molto intenso di approfondimento e aggiustamento dei diversi scenari aggregativi. Nel 2013 era stata promossa una consultazione su due ipotesi, una di 13 Comuni e una di 23 Comuni. La consultazione ha visto la partecipazione di un numero importante di Comuni, partiti e associazioni e ha permesso di mettere a fuoco le diverse problematiche. A seguito della precedente consultazione e di ulteriori approfondimenti si è ora arrivati all’ipotesi di tendere verso 27 Comuni.
Nel progetto è ben spiegato e documentato quali sono gli scenari già consolidati (realizzati), quelli che riscuotono un consenso e quelli invece più complessi e di difficile attuazione, localizzati principalmente nel Locarnese e nel Luganese.
Il PAC non fissa delle scadenze per la realizzazione degli scenari, prevede però degli incentivi finanziari per quei Comuni che vanno nella direzione del piano e fissa un arco di utilizzo di sei anni. Con questo arco temporale si intende dare un’accelerazione alle aggregazioni. Il PAC rimarca che ci sono delle penalizzazioni finanziarie per quei Comuni finanziariamente deboli che vogliono mantenersi a tutti i costi autonomi. Non prevede invece alcuna soluzione per quei Comuni, in buona salute, che non desiderano aggregarsi. Il PCA segnala le conseguenze negative, in termini di efficienza e spreco di risorse, di questo procedere a macchie di leopardo, ma rinuncia a volere ricorrere, se non in casi particolari, alle fusioni coatte.
Nel PAC si indica che le aggregazioni sono il primo passo di una più ampia riorganizzazione istituzionale con la revisione dei compiti fra Cantone e Comuni, ma non specifica nulla al riguardo.
Con la consultazione il CdS intende verificare se il PAC, con i 27 scenari e le misure per attuarli, sono condivise.
Nel PAC si cita che vi sono state due iniziative di riforma costituzionale volte a creare Comuni, tutte e due ritenute irricevibili dal Gran Consiglio: per la prima, che prevedeva la creazione di due nuovi Comuni per il Locarnese e il Bellinzonese, il Tribunale federale ha confermato il rifiuto in quanto non prevedeva una consultazione preliminare della popolazione locale, violando così il diritto superiore, segnatamente l’art. 5 della Carta europea dell’autonomia locale; la seconda, che prevedeva la creazione di 15 Comuni per tutto il Cantone, è stata rifiutata dal Gran Consiglio il 17 febbraio 2017. Ora è pendente un ricorso al Tribunale federale. Quest’ultima iniziativa, oltre a immaginare meno Comuni, prevede anche il ridisegno contemporaneo dei Comuni. Non ci sono macchie di leopardo e non sarebbero necessarie tutti quei passi intermedi per arrivare all’obiettivo auspicato. L’iniziativa si propone di migliorare anche gli strumenti di partecipazione della popolazione e il ruolo delle Commissioni di quartiere. Nel Canton Glarona, vi era un progetto istituzionale articolato. La popolazione ha proposto e approvato invece la creazione di soli tre Comuni. Questa iniziativa costituzionale, riprende lo stesso approccio, e intende anche dare un’accelerazione e organizzare meglio il processo aggregativo.
Il PCA è molto ben fatto, si basa su un lavoro di analisi e di consultazioni approfondite con diversi interlocutori. Molti degli scenari già tracciati nel 2013, sono ora già consolidati e altri sono in via di consolidamento. Si può certamente ritenere che le ipotesi contenute nel PCA siano, allo stato attuale, la visione più consolidata e realistica per il futuro del Ticino.
Il PCA evidenzia che il principio fondamentale per le aggregazioni è quello della partecipazione dei cittadini. Anche questa consultazione è però rivolta prevalentemente ai Comuni, ai partiti politici e alle associazioni. Il PCA dichiara di fungere da riferimento per la riorganizzazione dei Comuni e da base per l’azione politica volta a ridefinire i confini comunali. Le fusioni sono promosse e portate avanti dagli organi comunali e cantonali. I cittadini hanno la facoltà di proporre un’istanza di aggregazione, ma questa opzione è raramente utilizzata. Con il PAC gli scenari sono tracciati e le aggregazioni dovranno essere in linea con quanto definito dal Cantone. La non aggregazione o aggregazioni non in linea con il piano saranno penalizzate. Di fatto i cittadini si esprimeranno unicamente sui progetti di aggregazione già definiti nel PAC. Avranno poca o nessuna possibilità di influenzare i progetti. Il ruolo della popolazione è del tutto marginale. Il PAC risulta essere nella sostanza un progetto formulato dalle istituzioni, che viola il principio della partecipazione dei cittadini.
La mancata consultazione preventiva dei cittadini in merito alla volontà di ridisegnare l’insieme dei Comuni, potrebbe anche diventare la base di un ricorso e riportare il tutto ai piedi della scala.
La carenza di coinvolgimento in merito al quadro complessivo delle fusioni e alle modalità del suo perseguimento è fortemente sentita nella popolazione. A dimostrarlo vi sono le due iniziative costituzionali che hanno raccolto un grande sostegno. La risposta del CdS e del Gran Consiglio ai cittadini che chiedono di essere coinvolti nel disegnare la strategia aggregativa è purtroppo stata molto carente. Si è affrontato il problema dal profilo giuridico, senza considerare che la questione è politica. Vi è la necessità di fare partecipare la popolazione nel ridisegno istituzionale, ma gli strumenti dell’iniziativa costituzionale non sono adeguati a tutelare le esigenze locali. Nel contempo però si procede con un PAC definito a livello istituzionale che limita fortemente le scelte dei cittadini. La situazione è veramente molto strana. Da una parte il Gran Consiglio, sostenendo che non vi è sufficiente coinvolgimento della popolazione, impedisce al popolo di decidere sul tema. Nello stesso tempo si appresta a definire come si devono aggregare i Comuni, senza prima aver sentito la popolazione. Non è solo un problema di legittimità del PAC, ma è anche il principio della sovranità del popolo.
Serve una riflessione politica. Si tratta di conciliare il principio del coinvolgimento della popolazione ai diversi livelli, quello generale e locale. Un ridisegno tramite modifica costituzionale non permette alle realtà locali di esprimersi. Approvare un PAC che ridisegna i Comuni, senza interrogare il popolo, è altrettanto lesivo delle prerogative popolari. Si necessita di fare una sintesi, cosa che il Tribunale federale non potrà fare, perché dovrà decidere fra due soluzioni, ambedue insoddisfacenti. L’unico modo per garantire il primato della partecipazione popolare, è quello di indire una votazione consultiva a livello cantonale, con dei quesiti utili a capire quale è il punto di vista della popolazione ticinese in merito all’indirizzo strategico e quello dei diretti interessati, relativamente ai diversi scenari locali. La questione è articolata e la votazione consultiva è l’unico modo per fare in modo che il principio della partecipazione popolare possa realizzarsi.
Prima di tutto si tratta di capire se il popolo desidera una ristrutturazione complessiva e coordinata dei Comuni come auspicata dal PAC. Una legittimazione popolare su questo punto permetterebbe di accelerare il processo e lasciarsi alle spalle molte polemiche e anche di evitare i costi e le disfunzioni che la mancanza di coordinazione (macchie di leopardo) provocherebbe.
Le iniziative costituzionali ticinesi delineano scenari diversi rispetto a quelli immaginati dal PAC. L’iniziativa tuttora pendente presso il Tribunale federale prevede 15 Comuni. Il Cantone aveva anche proposto uno scenario con 13 Comuni, poi abbandonato. Se si vogliono rispettare i desideri locali, il numero definitivo dei Comuni dovrebbe essere stabilito solo quando le persone si sono espresse sugli scenari locali. Nella votazione consultiva si dovrebbe pertanto dare la possibilità di esprimersi con degli ordini di grandezza. Uno scenario di 13/15 Comuni o quello di 24/27 Comuni.
Le Comunità locali devono poi avere la possibilità di indicare le proprie preferenze in merito ai diversi scenari possibili a livello locale. Nella consultazione ci dovrebbero essere delle domande localizzate, specifiche alla propria regione. Per esempio, con 13/15 Comuni la valle di Blenio si troverebbe ad avere un Comune unico. Ai cittadini della valle si dovrebbe chiedere cosa pensano di questo scenario. Nel caso lo scenario 13/15 Comuni fosse il preferito nel Cantone, si potrebbe comunque anche considerare la specifica opinione dei cittadini della valle di Blenio. Lo stesso ragionamento varrebbe poi per tutti gli altri comprensori.
La questione è articolata su più livelli. Se ci si limita a delle domande Sì o No, ne risulterebbero difficili da interpretare e anche in conflitto fra di loro. Ci sono persone contrarie agli scenari tracciati dal PAC perché sono contrari alle aggregazioni, altri perché vorrebbero invece una riduzione più incisiva dei Comuni. Come nella consultazione dei Comuni è utile dare al cittadino la possibilità di esprimere delle gradazioni, affinché emergano meglio le diverse sensibilità.
Una votazione permetterebbe di dare una risposta al quesito principale, posto dall’iniziativa rifiutata dal Gran Consiglio e quindi di risolvere il contenzioso giuridico, rispettando la sovranità popolare.
I risultati dovrebbero comunque essere valutate dal CdS e formare la base del futuro PAC e portare poi a definire le modalità per raggiungere gli obiettivi. Non è detto che i dati portino a indicazioni chiare. Comunque sul modo di procedere sarà poi il Gran Consiglio ed eventualmente il popolo ad avere comunque l’ultima parola.
La domanda numero 3 della consultazione intende verificare le opinioni al riguardo della votazione costituzionale. Sarebbe stato interessante se nella consultazione si fosse data la possibilità di esprimersi in merito a una votazione consultiva. Tenuto conto che la consultazione termina in ottobre, il CdS avrebbe ancora tempo per aggiungere questa domanda.
Per rendere meglio il concetto della votazione consultiva, si immagina il possibile contenuto della scheda di consultazione per la Valle di Blenio. Negli altri comprensori rimarrebbero uguali le domande relative alla valutazione complessiva, mentre cambierebbero quelle relative alle scelte locali. A seconda delle località, potrebbero essere proposti ai cittadini diversi scenari aggregativi, in base alle diverse ipotesi indicate nel PAC o quelle sostenute dalle autorità locali.
La consultazione è molto atipica e inconsueta per la popolazione. Bisognerà preparare con molta attenzione le domande, magari con l’aiuto di esperti di sondaggi, volti a verificare se i quesiti sono comprensibili e se le risposte permettono di interpretare la volontà dei cittadini.
Consultazione popolare in materia di aggregazioni (Valle di Blenio) Segnare con una crocetta sulla scelta preferita.
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Il PAC si prefigge di delineare il futuro dei Comuni ticinesi e segnala che le aggregazioni comunali sono il presupposto di una successiva riorganizzazione istituzionale, con una ridistribuzione dei compiti fra Cantoni e Comuni. Si accenna al fatto che i Comuni dovrebbero essere in grado di assumere compiti attualmente svolti dal Cantone, rendendo i servizi più vicini ai cittadini. Non vi è però nulla di veramente concreto. Non è possibile farsi un’idea di come agiranno i nuovi Comuni e quali benefici porteranno ai cittadini. Si tratta di un punto questo che indebolisce la strategia, sia perché non si vedono concretamente i vantaggi per le persone, sia perché non è possibile valutare se il tipo di riorganizzazione proposta è la migliore per la ridefinizione dei compiti. Da questo punto di vista sembrano giustificate le critiche di quei Comuni che sostengono che prima è meglio capire come organizzare il lavoro e poi decidere come fare le fusioni.
Aggregazioni importanti, come quella di Lugano, hanno portato in una prima fase a delle sovrapposizioni e non hanno generato i risparmi sperati. Ora si sta cercano di migliorare, ridefinendo meglio i compiti e le modalità di perseguirli. Una strategia sul dopo aggregazioni permetterebbe ai Comuni di indirizzarsi da subito sulla strada giusta. Il problema non riguarda solo le aggregazioni, anche all’interno del Cantone l’esercizio di revisione dei compiti va molto a rilento. Questa mancanza di visione si fa sentire negativamente. Qui non vi è spazio per affrontare come si dovrebbe il tema, si portano comunque degli spunti, tanto per dare un’idea di come si potrebbero impostare le visioni future per l’Amministrazione statale.
È una questione marginale, ma vale la pena di ricordare che l’uso del termine quartiere per indicare i Comuni aggregati è decisamente poco adatto a molte realtà del Ticino e lascia perplessi non poche persone. Anche il termine frazione non appare adeguato. Sarebbe utile potere usare il termine “paese” che caratterizza meglio la maggior parte delle località. Il termine paese inoltre si usa anche spesso per definire la comunità che popola e rende viva la località. Un approccio quindi più indirizzato alla partecipazione delle persone.
Si rimanda anche al documento Verso un Ticino di 12 comuni (13 gennaio 2009), con il quale si segnalava l'esigenza di un ripensamento istituzionale coordinato.